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La storia di Tito, il punto di vista di una madre

Posted by: The Sumaira Foundation in Caregiver, MOG, Voices of NMO

Finora è rimasta in poche parole sussurrate. Ma oggi, dopo più di un anno, sento che è arrivato il momento di darle voce...


Mi chiamo Alice. Sono una psicologa e mi occupo di clinica e ricerca. Ma prima di tutto sono la mamma di Gaia e di Tito.

Tito aveva cinque anni quando, nell’ottobre dello scorso anno, gli è stata diagnosticata la MOGAD. Prima di allora, io e mio marito Roberto pensavamo di essere veramente una famiglia a cui non mancava niente: innamorati, con un sacco di progetti, due figli splendidi, Gaia e Tito, con cui saremmo dovuti partire per le Maldive due settimane dopo.

I primi sintomi di Tito sono comparsi una domenica, il 5 ottobre. Febbre, mal di testa, vomito e mal di gola. Nei giorni successivi Tito è stato visitato dai suoi due pediatri che, comprensibilmente, avevano ipotizzato si trattasse di una sintomatologia virale o batterica. Le terapie, sintomatiche e antibiotiche, non hanno funzionato.

Dopo diversi giorni il pediatra ci ha prescritto una compressa  cortisonica, alla quale Tito ha reagito con un miglioramento significativo dei sintomi, tanto che il giorno successivo sono partita per lavoro, per Pescara, pensando che il peggio fosse passato. Durante la mia breve permanenza, però, il quadro di Tito è nuovamente peggiorato. Quando sono rientrata, il 13 ottobre, gli ho portato un piccolo gioco di Spider-Man. Guardandolo, mi ha detto che ne vedeva due.

Da lì il buio.

Siamo stati ricoverati all’Ospedale dei Bambini di Parma dove è stato portato di corsa in TAC encefalo. L’esito, fortunatamente negativo, evidenziava tuttavia una probabile infiammazione a carico delle meningi. Le ipotesi diagnostiche si sono subito orientate verso una patologia del sistema nervoso centrale di origine autoimmune, ma ancora non vi erano certezze e non si conosceva il nemico da combattere. 

Sono seguiti tre giorni infiniti. Le sue condizioni peggioravano progressivamente. Tito ha subito numerosi prelievi, due rachicentesi, due risonanze magnetiche. Siamo arrivati a chiedere ai medici se lo avremmo riportato a casa con noi.

In quei giorni il tempo si è fermato.

Eravamo come sospesi in un’angoscia che solo il supporto delle persone intorno a noi ha saputo, in parte, alleviare, aprendo uno spazio anche per la gratitudine e per un cambio di prospettiva sul vero valore di chi ci sta accanto. Infatti c’è stato chi, pur conoscendo la gravità della situazione, non ha nemmeno chiesto come stesse Tito, chi addirittura continuava a mandare messaggi di lavoro, come se nulla stesse accadendo. Questo sposta lo sguardo. Ti fa capire chi sa esserci davvero e chi, semplicemente, non vale la pena che rimanga nella tua vita. E, allo stesso tempo, specularmente, ti fa riconoscere che alcune persone sono un dono proprio nella misura in cui sanno esserci. Non farti sentire sola, anche solo portandoti una focaccia di Recco a pranzo o una colazione in camera, quando la paura è talmente soffocante da farti dimenticare anche di mangiare. E questo, davvero, non lo dimentichi più.

Il mercoledì è arrivato l’esito positivo degli anticorpi anti-MOG, e ci siamo trovati ad affrontare e sostenere il peso di una diagnosi mai sentita prima. 

Dopo una dose di immunoglobuline e cinque giorni di cortisone ad alte dosi siamo stati dimessi. Tito, piano piano, si è ripreso. Al momento delle dimissioni presentava tremore alle mani, qualche problema di equilibrio ed atassia che si sono risolti nel giro di pochi giorni.

Ricordo molto bene il rientro a casa dopo le dimissioni. Scesi dalla macchina, Tito è corso verso l’ingresso e, dopo due passi, è inciampato. Non potrò mai dimenticare il modo in cui si é spento il suo sorriso ed é diventato improvvisamente silenzioso, e quanto quel silenzio mi abbia spezzato il cuore.

La terapia immunosoppressiva è proseguita fino a marzo. Sono stati mesi difficili perché l’effetto euforizzante del cortisone, unito all’isolamento sociale dei primi mesi in cui ci è stato precluso il rientro a scuola, su una personalità già esuberante come quella di Tito, ha reso la gestione quotidiana molto complessa, soprattutto a livello comportamentale.

Piano piano le cose sono migliorate e abbiamo trovato un nuovo equilibrio.

Oggi Tito sta bene. Ha recuperato completamente e non ha più avuto ricadute. Ha iniziato la prima elementare, gioca a calcio, è intelligentissimo, felice, sempre sorridente e pieno di vita.

Per questo, e per molto altro, devo ringraziare di cuore la Dott.ssa Emanuela Turco, il Dott. Alberto Cossu e tutto il loro team. Non hanno solo curato Tito: ci hanno accompagnati, sostenendoci con grande professionalità ma soprattutto con empatia e umanità, facendoci sentire il vero valore del prendersi cura.

Poche settimane dopo la diagnosi di Tito siamo entrati in contatto con la Sumaira Foundation. Viviana e Sumaira, e in seguito tutto il team, ci hanno accolti come una famiglia, facendoci sentire meno soli.

Oggi anche grazie a tutti loro, alla mia famiglia, agli amici e colleghi che ci sono stati, mi sento più forte e piena di gratitudine. Grazie al potere della cura, della connessione, della condivisione, della consapevolezza. Ho voluto diventare a mia volta Ambassador pediatrica della Fondazione, e sono proprio questo i valori che, a mia volta, spero di poter trasmettere a chi ne avrà bisogno, ad ogni bambino e genitore al momento della loro diagnosi.

In quei giorni abbiamo conosciuto una paura così paralizzante da lasciarci senza fiato, il coraggio di un leone di Tito, e abbiamo imparato a guardare il mondo attraverso una lente diversa: il valore delle piccole cose e la gratitudine per ciò che conta davvero, anche nei momenti più fragili.

Oggi, davanti al nostro albero di Natale, con Tito che ride, dipinge e sporca il tavolo di colori, so che nulla è scontato. Ma so anche che la vita può tornare a farsi spazio, che la luce può riaccendersi, e che la speranza non è negare la paura, ma riconoscere la bellezza che resiste, nonostante tutto.











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